Geopolitica cinese: il silenzio del Dragone

“Proprio perché non abbiamo issato troppo in alto la nostra bandiera e non abbiamo cercato di assumere un ruolo guida a livello internazionale siamo stati in grado di espandere il nostro spazio di manovra nella politica internazionale” .

Così Wen Jiabao, primo ministro della Repubblica Popolare Cinese dal 2003 al 2013, in un’intervista rilasciata al “Quotidiano del Popolo”.

L’inferiorità di Pechino rispetto alle due superpotenze del secolo XX (unita ad una mentalità da sempre isolazionista) si è paradossalmente trasformata in un valore aggiunto per il Dragone, oggi forte, pur nei limiti della sua capacità militare, politica ed economica, di un margine di manovra superiore a quello di USA e Russia, Attori penalizzati e limitati dal loro passato (e dal loro presente) all’insegna di un uso e di un abuso dell’ “hard power” come di un politiche proiettive invasive nei cinque continenti.

La Cina sta tuttavia seguendo, almeno per adesso, una strategia di penetrazione all’insegna dell’equilibrio e della discrezione, preferendo il “soft power” all’ “hard power” (si vedano a tal proposito i Centri Confucio, la “String of Pearls” o progetti come “Una sola Cina in Africa” ).

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